Diagnosi GENERICA | DI SPECIE | REGIONALE | INDIVIDUALE

Le fasi salienti dell’ANALISI DEL DNA FORENSE



LA RICERCA DELLE TRACCE E LA DIAGNOSI GENERICA
La diagnosi generica rappresenta il primo step dell’indagine del Laboratorio medico-legale: si tratta di accertare se una macchia rossastra sia di natura ematica, se una giallastra sia costituita da saliva, sperma o urina, se una fibra sia naturale (pelo/capello) oppure artificiale.
Per questi accertamenti vengono svolte prove che si usano distinguere in preliminari o orientative, e in prove di certezza.
I test orientativi sono utilizzati come "screening" preliminare, essendo assai sensibili (si effettuano con quantità di materiale veramente esigue), ma non altrettanto specifici; è pertanto necessario effettuare anche altre prove.
La conferma della presenza di sangue, sperma, saliva, ecc., così come i tests che vengono utilizzati per la diagnosi di specie, quando possibili, si ottiene con tecniche che danno sì la certezza della natura e della specie di appartenenza del reperto, ma hanno lo svantaggio di richiedere una discreta quantità di materiale, cosa che, talvolta, può compromettere le successive indagini di tipo identificativo, estremamente più sensibili.

In linea generale, vi sono quattro metodi per determinare la presenza di sangue o di sperma: il metodo visivo, fisico, microscopico, e chimico. Ciascuno di questi, a parte il metodo visivo, può dare risultati di orientamento o di certezza.

Il metodo visivo, di immediata e diretta realizzazione, rappresenta la fase preliminare che, ancora oggi, consente di orientare la ricerca di tracce da sottoporre ai successivi tests di laboratorio: non va dimenticato che le macchie di sangue possono assumere colori dal rosso al marrone, al verde scuro, quelle di sperma dal bianco al grigiastro, al giallastro, con bordi caratteristicamente "a carta geografica", mentre quelle di saliva o di sudore possono essere del tutto invisibili macroscopicamente: le aree sospette dovranno pertanto sempre essere sottoposte a tests di laboratorio.

Le tracce di sperma, ma anche di saliva, sudore, urine ed altri liquidi biologici, si rendono visibili in luce ultravioletta o con l’impiego di sorgenti luminose a specifiche lunghezze d’onda, associate a lenti appropriate. Esse risultano di particolare utilità quando debbano essere esplorate vaste superfici, con il risultato di rendere visibile la macchia che appare luminescente.

L'esame microscopico assume particolare rilievo nella diagnosi di sperma, allorché si evidenziano le cellule spermatiche le cui caratteristiche sono del tutto peculiari. Il rilievo di spermatozoi costituisce diagnosi di certezza in caso di eiaculato normospermico o oligospermico; metodi chimici di certezza in caso, ad esempio, di eiaculato azoospermico, sono il reperto della proteina P-30, l'antigene prostatico-specifico, oppure della fosfatasi acida prostatica, identificate mediante elettroforesi convenzionale, immunoelettroforesi, o mediante il metodo ELISA.

Nel caso vi sia il semplice sospetto che su un substrato (ad es. un indumento) vi possa essere una traccia non visibile direttamente, è possibile ricorrere a tecniche chimiche che permettono, in buona parte dei casi, di rilevarne la presenza.

Tra i metodi chimici per la natura ematica vanno ricordate le prove basate sulle proprietà del pigmento ematico di trasportare ossigeno e di comportarsi come una perossidasi e quindi di far assumere, con l'aggiunta di perossidi, vario colore a sostanze indicatrici (test della benzidina e di Kastle-Meyer). Senonché in natura, sostanze che agiscono con proprietà perossidasiche o pseudoperossidasiche sono molto diffuse (basti ricordare i vegetali, il permanganato di potassio, il cloruro ferrico, l'acido cromico, ecc.). Nessuno di questi due metodi, pertanto, rappresenta prova di certezza.

Su di un principio analogo si basano i test che consentono di rilevare la presenza anche di minime quantità di sangue perché lavato o molto diluito (test catalitico del Luminol), estremamente sensibile, ma anch’esso non specifico e, soprattutto dai profili di ripetibilità dell’accertamento tutt’altro che scontati.

Per quanto riguarda il liquido seminale va ricordata la capacità enzimatica della fosfatasi acida prostatica di dare una colorazione rosso purpurea a substrati contenenti particolari sostanze che sono incolori in assenza dell'enzima. Una reazione negativa, tuttavia, non necessariamente significa assenza di fosfatasi acida, ma può essere dovuta a degradazione dell'enzima in tracce di vecchia data. Questo metodo, utilissimo come diagnosi orientativa, necessita di tests di conferma potendo fornire risultati falsamente positivi in presenza di elevate concentrazioni di batteri o di certe piante o funghi, ma anche di sangue, essendo l'enzima fosfatasi acida presente, ad esempio, anche nei globuli rossi.

La diagnosi generica di saliva, invece, viene realizzata attraverso la dimostrazione di amilasi nella traccia.

Per la diagnosi di urine si ricorre alla dimostrazione, con opportuni reagenti, di apotriptofanasi o di triptofanasi o, più agevolmente, dimostrando l’elevata concentrazione di urea e creatinina.

Per la diagnosi di feci, a parte i caratteri morfologici ed organolettici, è necessario ricorrere a test che evidenziano la presenza di urobilinogeno o di altri pigmenti fecali.

Fanno parte dei metodi chimici anche le prove microcristallografiche che consistono nel determinare, mediante opportuni reagenti, la formazione di cristalli caratteristici sia nel caso della macchia di sangue (test di certezza per la diagnosi di sangue), sia in quella di sperma dove però non ne consentono la diagnosi di certezza che si ottiene invece con l’osservazione diretta all’indagine microscopica.

Le prove cromatografiche su carta o su substrato sottile possono considerarsi attualmente il metodo di elezione per la diagnosi generica di sangue, anche su tracce minime.

Per quanto riguarda le indagini su peli, esse risultano assai frequenti, data la facilità con cui tale reperto può essere trasferito da un luogo all'altro per naturale caduta, per essere stato strappato o per essere rimasto adeso, ad esempio, ad indumenti.

Le indagini su peli, comunque, presentano problemi analoghi a quelli relativi a qualunque altra traccia: può cioè richiedersi una diagnosi generica, specifica, individuale, regionale.

La diagnosi generica viene eseguita mediante osservazione al microscopio ottico per rilevare le caratteristiche fondamentali della struttura pilifera, ossia la presenza di una radice, di un fusto e di un'estremità.

Spesso la scarsa quantità di materiale biologico a disposizione impone scelte complesse che possono comportare il sacrificio dell’importante step preliminare della diagnosi generica a favore della diagnosi genetica individuale, cosa che realizza l’apparente paradosso scientifico in base al quale è possibile identificare con certezza un soggetto quale “donatore” di una traccia senza che sia stato possibile stabilire l'esatta natura del materiale biologico di partenza.

‹‹ torna all'inizio

 

LA DIAGNOSI DI SPECIE
Una volta identificata la natura di una macchia è necessario determinare se sia di natura umana o animale (diagnosi cosiddetta specie-specifica).

Qualora le dimensioni della traccia lo consentano, le tecniche ancor oggi più utilizzate per la diagnosi di specie sono di tipo immunologico (immunodiffusione) che consentono di cimentare un estratto dalla traccia in esame con diversi sieri contenenti anticorpi anti-uomo, anti-cavallo, cane, gatto, ecc. e di osservare la formazione di una banda di precipitato in corrispondenza dell'antisiero specifico.

In alternativa vengono anche comunemente utilizzate metodiche che impiegano anticorpi monoclonali anti-uomo, cane, gatto, ecc. con tecniche ELISA.

La diagnosi di specie su formazioni pilifere è generalmente eseguita mediante esame microscopico. Infatti la cuticola, ossia lo strato esterno della formazione pilifera, la sostanza corticale, contenente i granuli di pigmento, e la midollare, ossia la porzione centrale che può essere presente, assente o a zolle, hanno caratteristiche peculiari che consentono facilmente la diagnosi di specie umana o animale.

Tecniche genetiche più sofisticate, che prevedono l’esame del DNA mitocondriale, realizzaibile anche su peli/capelli, sono estremamente sensibili e specifiche ma hanno lo svantaggio della indaginosità (e quindi l’elevato costo), e sono il più delle volte impiegate non da medici legali ma da zoologi.

‹‹ torna all'inizio

 

LA DIAGNOSI REGIONALE
La questione della provenienza da un certo distretto corporeo (diagnosi regionale) di una traccia riguarda le formazioni pilifere e le tracce di sangue, dal momento che la diagnosi generica, per altri materiali biologici, immediatamente ne identifica l'origine.

La diagnosi regionale morfologica (macro/microscopica) di capelli, peli ascellari, peli del pube, ecc., poggiando unicamente sui dati dimensionali (lunghezza, spessore) e sulla forma della sezione (rotonda od ovalare), è ben lontana dal fornire elementi di certezza.

Per esprimere valutazioni generali in merito all'origine di una macchia di sangue valgono criteri vari: si tiene cioè conto delle risultanze dell'esame somatico dell'individuo dal quale si afferma provenire il sangue, dei caratteri di sede, di ampiezza, di forma, ecc. delle macchie, infine dell'esame microscopico del materiale costitutivo di esse. Evidentemente per avere una emottisi occorrono lesioni dell'apparato respiratorio; per avere una emorragia emorroidaria occorre l'esistenza di emorroidi; una donna che abbia sorpassato la menopausa non potrà attribuire le macchie ad una propria mestruazione, ecc. Anche la sede della distribuzione delle macchie di sangue, specie sugli indumenti, come pure sulla biancheria da letto, e altrove, possono costituire elementi significativi.

Metodi più recenti prevedono la valutazione dell’espressione genica tessuto-specifica analizzando l’acido ribonucleico (RNA), che presenta caratteristiche uniche per quel determinato tessuto o tipo cellulare.

Un limite di tale analisi risiede nella complessiva minore resistenza del RNA alla degradazione rispetto al DNA: per questo motivo su materiali biologici particolarmente scarsi e/o degradati tale approccio rischia di non consentire alcun risultato.

Diversi sono i geni-target produttivi di RNA tessuto-specifico: solo per fornire alcuni esempi, di seguito ne vengono citati alcuni.
• Sangue: ?-spectrina (SPTB), Porfobilinogeno-deaminasi (PBGD), alfa locus 1 dell’emoglobina (HBA);
• sangue mestruale: metalloproteinasi 7 e 11 (MMP7 e 11);
• saliva: istatina 3 (HTN3) e staterina (STATH);
• liquido seminale: protamina 1 e 2 (PRM 1 e 2) e callicreina 3 (KLK = PSA);
• secrezioni vaginali: beta-defensina umana 1 (HBD-1), mucina 4 (MUC4).

La prospettiva è quella di impiegare questi metodi in reazioni multiple dopo co-estrazione di DNA ed RNA dalla traccia in esame, ma al momento tali metodiche non risultano ancora completamente validate all’uso forense.

‹‹ torna all'inizio

 

LA DIAGNOSI INDIVIDUALE (DNA)
La diagnosi individuale è stata per lungo tempo condotta su di un certo liquido biologico su tutte le sue componenti utilizzando, nel caso del sangue, antigeni cellulari quali i gruppi sanguigni AB0. Questi marcatori sono detti polimorfici dal momento che la stessa molecola proteica si può presentare in forme diverse in soggetti diversi.

Oggi tuttavia questi sistemi sono pressoché abbandonati nella pratica routine forense poiché le possibilità identificative, oltre che modeste sul piano dell’informatività, risentono molto anche della scarsa resistenza all’invecchiamento ed alla degradazione, condizioni di assai frequente riscontro nella pratica.

Per quanto riguarda le formazioni pilifere la diagnosi individuale risulta di impossibile realizzazione, sulla base del solo dato morfologico, ottenuto dal confronto con formazioni pilifere di riferimento esaminando parametri quali il colore, il diametro, la presenza o meno di sostanza midollare, ecc. È infatti a tutti noto che uno stesso soggetto può avere capelli di colore diverso in diverse regioni del cuoio capelluto per incanutimento, naturale schiarimento o per trattamenti cosmetici. È altrettanto intuitivo, tuttavia, che il riscontro di un capello biondo, se paragonato ad un soggetto di capigliatura corvina, facilmente porta ad escludere quest'ultimo come colui che lo ha lasciato.

Da ormai diversi anni, però, con il progresso delle tecniche di biologia molecolare, anche da un solo capello è possibile ottenere risultati utili a fini identificativi.

La vera rivoluzione in ambito identificativo, infatti, si è avuta grazie alla scoperta dei polimorfismi genetici, ossia di quelli relativi alla molecola del DNA, contenuto all’interno di tutte le cellule nucleate, assai più informativi, resistenti e di più ampia applicabilità su tutti i materiali biologici di quanto non fossero i “tradizionali” polimorfismi proteici.

I polimorfismi del DNA rappresentano attualmente quanto di meglio sia mai stato utilizzato, a fini identificativi, dopo la scoperta delle impronte digitali.

Le pubblicazioni del 1985 di Alec Jeffreys, hanno dimostrato la possibilità di distinguere tra due persone non più al livello dei prodotti dei geni, le proteine, ma a livello del DNA, che dunque rappresenta oggi il grado estremo dell’individualizzazione biologica.

È nato così il termine di “DNA fingerprinting” per indicare la possibilità di identificare la persona attraverso lo studio genetico come se si trattasse dell’impronta digitale. Oggi, tuttavia, si preferisce parlare di "DNA profiling", anche se rimane molto suggestiva la denominazione iniziale.

Lo studio dei profili genetici si basa sull’esame di alcune porzioni variabili della molecola del DNA. Ciascuna delle nostre cellule somatiche (eccetto quindi i globuli rossi maturi) possiede nel suo nucleo circa 6 miliardi di paia di basi, o nucleotidi, che costituiscono l’intero assetto genetico dell’individuo organizzato in 23 paia di cromosomi. La maggior parte di questo DNA è identico in tutti gli esseri umani, ma alcune regioni sono altamente variabili.

Sono queste porzioni che vengono utilizzate nello studio del profilo del DNA, dal momento che se ne conosce esattamente la localizzazione cromosomica (locus genico) e la frequenza con cui questa variabilità, o polimorfismo, si manifesta nella popolazione.

Il profilo del DNA di un individuo è visibile sotto forma di bande o di picchi di elettroferogrammi (nel caso di impiego di tecniche automatizzate) la cui posizione riflette il numero di unità ripetute per ciascun sistema esaminato: a poche unità ripetute corrisponderà una migrazione elettroforetica più rapida cosicché la banda (il picco) si troverà in posizione più distante rispetto all’origine della migrazione di quanto non sia una banda (picco) avente un numero maggiore di unità ripetute che, viceversa, dato il maggiore peso molecolare, avrà una migrazione più lenta.

Dal cromosoma al genotipo

‹‹ torna all'inizio

 

LE FASI SALIENTI DELL'ANALISI DEL DNA FORENSE

Estrazione Il DNA per poter essere analizzato deve essere estratto dalla traccia o dal campione di riferimento e purificato dalle proteine e dalle sostanze che, eventualmente, fossero presenti sulla traccia (ad es. polvere, terriccio, fibre di indumenti, ecc.).

La fase della determinazione della quantità e qualità del DNA estratto è necessaria per poter aggiustare la quantità necessaria alle fasi successive, oggi condotte pressoché unicamente mediante la tecnica della reazione di polimerizzazione a catena (PCR).

 

PCR Una seconda rivoluzione nelle indagini forensi si è infatti avuta con l’introduzione della tecnica della polymerase chain reaction - PCR che consente la moltiplicazione milioni di volte di un frammento polimorfico di DNA.

Inizialmente la metodica aveva lo svantaggio del minor grado di informatività per singolo locus se paragonato ai sistemi analizzati in Southern blotting, problema oggi superato dalla possibilità di coamplificare simultaneamente diversi loci polimorfici così da raggiungere un potere identificativo assai elevato.

Rimane rilevante il problema della possibilità di contaminazione, tanto maggiore quanto più sensibili sono le tecniche con la capacità quindi di identificare anche pochissime copie di DNA.

Del problema della contaminazione dei reperti si dirà più oltre.

 

Il confronto di assetti genetici Lo studio dei polimorfismi del DNA in ambito forense si realizza mediante confronto di assetti genetici.

Ad esempio possono essere posti a confronto il profilo del DNA estratto dalla traccia ematica presente sui pantaloni dell’indagato con quello estratto dal sangue della vittima, oppure il profilo del DNA estratto dal liquido seminale prelevato alla vittima di violenza sessuale con quello di un’eventuale persona indagata.

Il risultato che ne deriva può essere di completa difformità tra due assetti genetici, oppure di compatibilità, ma non già di identità.

La domanda che viene di regola posta al genetista forense è se un certo individuo può essere escluso come colui che ha lasciato la traccia sulla scena del delitto oppure no.

Mentre, come detto, la risposta alla prima parte della domanda può essere assai rapida, per via della completa incompatibilità tra due profili genetici, non altrettanto semplice è la risposta alla seconda.

Incompatibilità tra due profili genetici

Una risposta a questa domanda, infatti, passa attraverso una valutazione della frequenza nella popolazione di riferimento (italiana, olandese, inglese, ecc.) del fenotipo (genotipo), ricavato dall'esame di ciascun sistema che porta ad un valore cumulativo di frequenza, che a sua volta rivela la maggiore o minore rarità del profilo.

Il reciproco di tale valore di frequenza rappresenta il numero dei soggetti nella popolazione di riferimento che condividano casualmente lo stesso profilo genetico.

Valori un tempo di 1 su 10.000, 1 su 100.000 stanno rapidamente lasciando il posto a valori estremamente più significativi di 1 su svariati miliardi o più, grazie alla possibilità di utilizzare sistemi genetici sempre più informativi, ovvero con frequenze cumulative assai basse.

Compatibilità tra due profili genetici

Nell’esecuzione delle indagini, pertanto, risultano di fondamentale importanza i sistemi genetici impiegati, ovvero quelli con maggiore capacità discriminativa rispetto ad altri. I sistemi AB0 e Rh, ad esempio, erano scarsamente informativi, essendo il gruppo 0 presente nel 46% circa della popolazione italiana, mentre il fenotipo D+ nell’86% circa della popolazione. Una combinazione dei sistemi AB0 ed Rh, (fenotipo 0 e D+) non porterebbe la frequenza del profilo al di sotto del 40%.

L'uso di sistemi genetici analizzati mediante PCR ha introdotto marcatori singolarmente dotati di informatività non molto elevata, ma che hanno l'enorme vantaggio di essere utilizzabili simultaneamente, fino a 17 marcatori per singola reazione con kit commerciali STR (Short Tandem Repeat) validati all’uso forense, con un potere discriminativo impensabile fino a pochi anni orsono, e con la possibilità di essere utilizzati su quantità davvero scarse di materiale biologico anche in condizione di elevata degradazione.

Profilo genetico analizzato per 14 loci


Il test del DNA, da diversi anni a questa parte, ha dato prova di essere completamente affidabile ed utilizzabile anche nelle delicate indagini in ambito forense purché vengano rispettati i relativi standards di qualità attraverso le linee-guida e le direttive che a vari livelli vengono emanate dalle comunità scientifiche internazionali e nazionali.

L’obiettivo della massima affidabilità, poi, è realizzato sia attraverso una specifica preparazione di coloro i quali vi operano (responsabili dei laboratori, tecnici, ecc.), sia mediante strutture e macchinari adeguati, sia mediante l’utilizzo di tecniche operative che abbiano superato il vaglio della comunità scientifica internazionale: i sistemi genetici utilizzati, infatti, devono dare prova di essere sufficientemente robusti nell’uso su traccia, informativi, trasmissibili secondo le regole della segregazione mendeliana (relativamente all'uso nelle indagini di paternità) ed essere accompagnati da un adeguato corredo di dati sulle frequenze nella popolazione.

<< torna all'inizio


tratto da:
Cazzaniga, Cattabeni, Luvoni, Zoja.
Compendio di Medicina Legale e delle Assicurazioni.
UTET 2006
Capitolo a cura di A. Piccinini (modificato).
© 2014 DNALex. Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione anche parziale. | webdesign