Casi giudiziari recenti hanno evidenziato l’esistenza di particolari criticità in analisi che, in casi meno complessi, hanno la possibilità di fornire indicazioni di portata ineguagliabile nell’accertamento positivo o nell’esclusione di un soggetto quale donatore di una traccia biologica.

La repertazione del materiale biologico e la sua conservazione risultano di fondamentale importanza nell’economia dell’intera indagine identificativa. Una corretta ed accorta repertazione delle tracce consente da un lato di ottenere il massimo vantaggio in termini di possibilità di riuscita dell’indagine, dall’altro porta ad evitare una delle questioni più pericolose delle indagini genetico-forensi, soprattutto oggi con tecniche dotate di grande sensibilità di cui si è detto: la contaminazione.

La contaminazione
Il termine contaminazione si riferisce alla presenza, nel risultato di una determinazione, di una commistione di fenotipi, o profili genetici, di soggetti diversi per erroneo ed incongruo trattamento del reperto.

Il trattamento incongruo di un reperto può derivare, ad esempio, dal trasferimento di tracce biologiche o di parti di esse da indumenti della vittima a quelli dell’aggressore o viceversa, per erronea modalità di repertazione, di conservazione o, infine, per errore durante l’analisi di laboratorio con trasferimento di materiale biologico da un campione ad un altro.

Da ciò si evince l’importanza di adottare rigorose modalità operative sia in sede di sopralluogo, ossia durante la repertazione, sia in sede di catalogazione e di conservazione, sia durante l’esecuzione delle indagini di laboratorio.

La conservazione del materiale biologico
Il DNA, come tutte le molecole biologiche, per quanto più resistente di molte altre, è in realtà esposto all’azione degli agenti chimici (ad es. coloranti, detergenti, acidi o basi, ecc.), fisici (luce - soprattutto radiazioni ultraviolette, calore) e biologici (microorganismi). Quando l’esposizione a tali agenti sia eccessivamente prolungata la struttura del DNA può risultare alterata anche irrimediabilmente.

Dopo la repertazione è pertanto necessario mettere al riparo i reperti dagli agenti chimici e fisici impedendo la proliferazione dei microorganismi lasciando asciugare all’aria un reperto se ancora umido o bagnato, e riponendolo in sacchetti di carta (non di plastica) che dovranno poi essere posti in ambiente refrigerato alla minore temperatura possibile (congelatore a -20°C / -80°C).

Di tutti questi aspetti l’indagine giudiziaria deve poter dare adeguato conto con appropriati verbali di repertazione, trasferimento, custodia, sequestro, ecc.

La ripetibilità degli accertamenti
Accertamenti tecnici posso essere disposti sia nella fase preliminare (investigativa), sia in quella dibattimentale.

Le analisi disposte nella fase preliminare sono solitamente disposte dal Pubblico Ministero, ma talvolta ad iniziativa della Difesa nell’ambito delle indagini difensive (legge n. 397/2000).

La consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero è regolamentata dagli articoli 359 e 360 c.p.p.
Art. 359 “(Consulenti tecnici del pubblico ministero). 1. Il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare e avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera. 2. Il consulente può essere autorizzato dal pubblico ministero ad assistere a singoli atti di indagine”.
Art. 360 “(Accertamenti tecnici non ripetibili). 1. Quando gli accertamenti previsti dall’art. 359 riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, il pubblico ministero avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal reato e i difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici. 2. […] 3. I difensori nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve. 4. Qualora, prima del conferimento dell’incarico, la persona sottoposta alle indagini formuli riserva di promuovere incidente probatorio, il pubblico ministero dispone che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti. 5. Se il pubblico ministero, malgrado l’espressa riserva formulata dalla persona sottoposta alle indagini e pur non sussistendo la condizioni indicate nell’ultima parte del comma 4, ha ugualmente disposto di procedere agli accertamenti, i relativi risultati non possono essere utilizzati nel dibattimento”.

L’art. 359 è caratterizzato dalla ripetibilità dell’accertamento, cosa che presuppone, necessariamente, che l’oggetto dell’accertamento, nel nostro caso la traccia biologica, consenta di essere rianalizzata; in ragione della possibilità di ripetizione il PM non ha obbligo di avviso alle parti (che quindi non sono a conoscenza dell’indagine tecnica che il PM conduce, né quindi hanno possibilità di nominare propri consulenti di parte), potendo in completa autonomia compiere gli accertamenti che potranno essere ripetuti, ad esempio, su istanza delle Difese.

Ciò si rende possibile in un numero assai limitato di casi in quanto, a priori, è ben difficile, se non impossibile, pronunciarsi sulla quantità (e soprattutto qualità) di DNA presente in una traccia.

Diverso il caso dell’accertamento tecnico irripetibile: il PM ha infatti, tra l’altro, l’obbligo di notificare il ricorrere di tale accertamento informandone le parti le quali hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici: le analisi pertanto si svolgeranno nel contraddittorio anche tecnico delle parti.

Le analisi genetico-forensi il più delle volte, presentando caratteristiche di irripetibilità sia per la scarsa quantità di traccia in esame, sia per la scarsa qualità del DNA che si suppone in essa presente, sia per una combinazione delle due fattispecie, rientrano in questa categoria.

L’attenta verifica delle condizioni di ripetibilità o meno di un accertamento costituisce elemento di grande importanza nella gestione di una procedura d’indagine.

Nella fase dibattimentale il Giudice può disporre la perizia, il cui istituto è disciplinato dagli artt. 220 c.p.p. e seguenti.

Art. 220 c.p.p. 1° comma: “(Oggetto della perizia) 1. La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche”. L’art. 222 c.p.p. detta le incapacità e incompatibilità del perito: “1. Non può prestare ufficio di perito, a pena di nullità: a) il minorenne, l’interdetto, l’inabilitato e chi è affetto da infermità di mente; b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici ovvero è interdetto o sospeso dall’esercizio di una professione o di un’arte; c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione; d) chi non può essere assunto come testimone o ha facoltà di astenersi dal testimoniare o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o di interprete; e) chi è stato nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento connesso”.

Sia nel caso della consulenza tecnica, sia nel caso della perizia il consulente tecnico o il perito verranno scelti dal PM o dal Giudice all’interno di specifici Albi tenuti dal Presidente del Tribunale (Albo dei consulenti tecnici e dei periti) divisi in categorie di esperti.

L’interpretazione del dato
Ogni analisi di laboratorio produce un dato che necessita interpretazione da parte di un operatore.

L’interpretazione è quel processo di lettura critica del risultato e di inserimento del medesimo in un contesto più generale: l’interpretazione è agevole quando il risultato dell’analisi sia assolutamente chiaro, come una fotografia scattata in piena luce che fornisce particolari a tutti evidenti che non possono essere contestati; se invece la fotografia è sfuocata o scattata in una giornata di pioggia, ecco molti particolari possono sfuggire o essere interpretati diversamente a seconda dei diversi osservatori. Di qui diverse interpretazioni.

In questi casi l’esperienza e, spesso, la prudenza interpretativa dell’operatore fanno la differenza.

Deve infatti essere sfatato il mito dell’infallibilità del test del DNA come soluzione a tutti i problemi identificativo-giudiziari: in molti casi la scarsa quantità o qualità del DNA di partenza non consentono di ricavare risultati sufficientemente affidabili per un’interpretazione univoca, con l’inevitabile conseguenza di un confronto, talora assai acceso, tra interpretazioni diverse dei consulenti dell’accusa e della difesa. Come anche recenti casi giudiziari di cronaca hanno a tutti mostrato.

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tratto da:
Cazzaniga, Cattabeni, Luvoni, Zoja.
Compendio di Medicina Legale e delle Assicurazioni.
UTET 2006
Capitolo a cura di A. Piccinini (modificato).
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